gravina nobilissima
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“Grana et vina”, ma soprattutto nobilissima.

L'altra faccia di Gravina antica, raccontata da Giovanni Mercadante. Riflessione dal sapore amaro: "Avete un patrimonio che sta cadendo a pezzi"

"Grana et vina", recita il motto, ma Gravina non è stato solo un paese di agricoltori.

Lo sa bene lo studioso e scrittore altamurano Giovanni Mercadante, che nella sua nuova opera "Gravina nobilissima" ha raccolto le tracce di questo illustre passato dall'anno mille fino ad oggi. "Ho visitato palazzi, case, cantine. Ho incontrato i proprietari discendenti di quell'antica nobiltà, con i quali mi sono confrontato; ho fotografato gli interni di cappelle private e pubbliche sia nelle chiese che nella cattedrale", racconta. "Ad ogni famiglia ho dato una scheda descrittiva, riportandone anche lo stemma araldico. Per quanto riguarda l'araldica ecclesiastica, invece, questa si è interrotta fino al Settecento. Molti stemmi sono andati perduti a causa di lavori di restauro, effettuati all'interno della cattedrale e per recuperarli sono andato nei paesi d'origine dei vescovi, oppure nei luoghi in cui sono stati nominati".

Un lungo lavoro di indagine dunque, che ha riportato alla luce un dato curioso e, secondo lo scrittore, anche inedito: "Consultando i registri dei nati e dei morti, l'archivio di stato ed il catasto onciario del 1754, ho ricavato che, a partire dal 1700 il Duca Orsini, che era sempre stato litigioso, aveva ulteriormente vessato la popolazione con delle tasse. Per questo molte famiglie nobili gravinesi si ribellarono e, a causa dell' elevata pressione fiscale, si rifiutarono di pagare decidendo di emigrare altrove, principalmente nella zona del centro e del nord, ad esempio nel Lazio e a Bologna, per non tornarvi mai più."

Tra queste famiglie alcune sono ancora note a livello nazionale racconta lo scrittore. "Ricordiamo i Ferrari o i Gallo. Inoltre tra il 1695 e il 1700 Pacicalli riporta un elenco di famiglie, o meglio fuochi, così come venivano definiti anticamente i nuclei familiari, che a distanza di vent'anni scompaiono. Il fatto strano è che sembra evidente che i funzionari fiscali dell'epoca abbiano occultato i nomi delle famiglie facoltose, probabilmente furono pagati per far questo, proprio per permettere loro di sparire. Queste intanto avevano venduto tutti i loro beni ed è a questo punto che Gravina muore dal punto di vista economico; i latifondisti infatti, avevano delle grandi proprietà terriere e delle masserie che in seguito non hanno avuto la possibilità di essere gestite al meglio e che restano tutt'ora abbandonate".

In conclusione, Mercadante tiene a sottolineare che a Gravina "avete un patrimonio che sta cadendo a pezzi, lo sottolineo anche a conclusione del libro, non si possono ingannare i turisti dicendo che si tratta di una città d'arte perchè non c'è un tale status e non c'è un interesse volto alla conservazione di questi beni". Aprendo il grosso volume, circa cinquecento pagine, mostra alcune fotografie scattate all'interno di palazzo Majorana: "Ci sono degli affreschi bellissimi". E quando indica la foto del portone d'ingresso, sul quale spicca un cartello verde, ormai scolorito dalle intemperie, con su scritto "vendesi", spiega: "Vogliono venderlo. Molte famiglie un tempo nobili non sono più in grado di mantenere questi palazzi, senza contare che nel corso del tempo hanno sicuramente già venduto molte delle loro proprietà per mantenere il loro status, che in realtà si è disciolto come neve al sole".

Tanta amarezza, dunque, per un passato importante, del quale si può leggere e ammirare in un volume, ma che è impossibile osservare da vicino. Ciò che è rimasto può essere riassunto in portoni sbarrati, masserie diroccate o in un cartello: "Vendesi".
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