Don Peppe Logruosso
Don Peppe Logruosso
Ospedale e Sanità

Il sacerdote gravinese don Peppe a sostegno degli operatori sanitari

Logruosso racconta l'esperienza in un ospedale Covid a Torino

Il supporto della fede è quanto mai essenziale in un periodo storico come questo dove paura e sconforto rischiano di prendere il sopravvento nelle vite di ciascuno di noi. Lo sa bene Don Giuseppe Logruosso, 36enne sacerdote gravinese che due anni fa, dopo aver conseguito la laurea a Roma, ha deciso di vivere l'esperienza pastorale in ospedale e attualmente presta servizio presso il nosocomio piemontese "Martini" di Torino. Gravinalife lo ha raggiunto telefonicamente per porgli alcune delle domande in questo delicato momento per le strutture sanitarie.

L'ospedale Martini ospita malati Covid, da quanto c'è questa situazione e come è attrezzato?
In Piemonte c'è una convenzione tra regione e diocesi, io sono stato assunto dall'ASL come assistente psicospirituale di ammalati e dipendenti. Da un paio di settimane il Martini è diventato totalmente Covid hospital e ci sono tutte le attrezzature necessarie per gli ospedalizzati e anche tutti i dispositivi di protezione per noi operatori.

Qual è il suo supporto ai malati?
Non posso entrare in tutti i reparti, solo su chiamata faccio assistenza religiosa sia in punto di morte con le dovute distanze e l'aiuto degli infermieri, sia per donare conforto ai pazienti di tutte le età, dagli anziani ai giovanissimi.

Questa situazione di emergenza sta mettendo in discussione il credo personale o sta avvicinando maggiormente la gente alla fede religiosa?
Sta avvicinando molto la gente alla fede, parlo soprattutto degli operatori sanitari. Infermieri, medici, oss sono quelli che hanno più bisogno. Hanno paura e sono stremati dai turni massacranti: la regione ha vietato loro ferie e permessi e questo è molto devastante dal punto di vista psicologico.

Quanto è difficile il suo compito di supporto in questo momento? Ci racconta un'esperienza?
Io offro supporto psicologico soprattutto ai dipendenti dell'ospedale, il confronto con loro durante le pause di lavoro avviene in modo naturale. A loro consiglio sempre il distacco dalla situazione lavorativa che vivono, perché sono altro rispetto a questa emergenza sanitaria. Il rischio più grande per gli operatori sanitari è il contagio e molti di loro sono a casa perché positivi, facciamo il tampone ogni 15 giorni. L'esperienza più bella l'ho avuta con i capisala, sono circa una trentina. Loro non avevano un posto dove incontrarsi per le riunioni e l'unico posto libero era la cappella, attualmente vuota ma attrezzata per ospitare una dozzina di pazienti e volendo anche il doppio: due settimane hanno stazionato una decina di ammalati in attesa di essere trasferiti nei reparti pieni. Partecipo alle riunioni organizzative dei reparti e gli operatori sanitari mi hanno chiesto l'altro giorno di dare loro delle parole piene di speranza, ho citato così una canzone di Jovanotti: "la vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare".

Ha paura?
Non ho timori. Il mio compito è molto delicato, ci vuole sensibilità e affetto verso il prossimo. Ho molta libertà nel mio lavoro e mi dedico completamente a chi cerca il mio sostegno, ma ho bisogno anch'io di momenti di pausa ed evasione anche perché sono lontano dalla mia famiglia che non vedo da tempo per scelta. Consiglio spesso di utilizzare la musica come terapia. Sto scrivendo e componendo nuove canzoni e sto mettendo su un'iniziativa che non posso ancora svelare ma che permetterà di mettere in contatto speciale l'ospedale con il mondo esterno.

Venerdì era la "giornata della gentilezza", quanto è importante praticare gentilezza e compassione verso il prossimo?
Praticare la gentilezza è fondamentale, più ne dai più ne ricevi, è alla base di ogni rapporto. Siamo in battaglia, meno siamo uniti e meno vinciamo. Devo dire però che sto vivendo una grande unità tra dirigenti e dipendenti, è davvero una bella squadra.
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